“Tabarre” il fantino volterrano che conquistò Siena

Ci mancavano la polvere offuscante, lo scalpiccio assordante, il movimento travolgente, le grida spontanee e concitate di incitazione, il carosello colorato e animato delle contrade. Non mancavano però gli affreschi,  il centro nevralgico della vita cittadina, all’ombra dei palazzi del potere. Eppure il sentimento era proprio quello delle antiche competizioni sportive, quelle in cui la gara ardua, aveva regole dure, significati di scambio e condivisione, qualche volta di cambiamento. S’incontrano due città antichissime. Il tema centrale è il Palio più celebre, protagonista un grande fantino dell’800, una personalità indipendente, vincente e misteriosa, di sangue volterrano, in terra di Siena.

Nella sala del maggior Consiglio di Palazzo dei Priori, è stato presentato il libro “Tabarre”, il fantino Volterrano di Moreno Ceppatelli, edito da Betti Editrice. Con una singolarità nella singolarità: Francesco Ceppatelli, vincitore di 11 carriere, il protagonista dimenticato perché, almeno nelle immagini, non voleva essere ricordato. E per un pomeriggio intero il carattere volterrano e quello senese, si sono ravvicinati, con parità di temperamenti, quelli autentici. E l’autore ha saputo portare la tempra volterrana negli archivi del Palio, attraverso ricerche, durate oltre trent’anni, come ricorda l’archeologo Dario Ceppatelli, figlio dell’autore e co-relatore della conferenza. Il fantino “Tabarre”, quello che per il Sindaco Marco Buselli dà un “lustro alla città”. Una sorta di eroe volterrano a Siena. Un libro che è naturale continuità al riconoscimento che Volterra ha dato, due anni fa, al campione del Palio più famoso, con la targa – in Viale Porretti – voluta da Moreno Ceppatelli, “ma con la passione essenziale del Sindaco”.

E questa ulteriore fatica di Moreno Ceppatelli, ci riporta l’attenzione nella storia di Volterra: i cavalli in “Vallebona”. Quello che è stato il contenuto dell’intervento di Dario Ceppatelli, che affonda nella storia più antica, quando i cavalli erano usati per il cibo fino allo scatto dell’intervento dell’Uomo che crea le razze equine e il trasporto e le corse. Un interessante excursus sulle tipologie delle gare: la corsa con i cocchi e con i cavalli sciolti particolarmente crudele: poiché per sfuggire al dolore provocato sul retro del corpo, si potenziava la fuga dell’equino. Più o meno crudeli erano modalità di corsa “alla lunga” con una tappa di partenza ed una di arrivo, anche a Volterra. Diversa la competizione “alla tonda”, come al palio di Siena dove il pubblico può invece seguire l’intero svolgimento della gara.
E ancora nel 1841 si parlava di un presunto anfiteatro romano, la dicitura era “Ippodromo anfiteatro”. Ma in realtà era il terreno del sommerso teatro romano. Intorno agli anni 1935-38, scompaiono documenti di corse di cavalli a Volterra e compaiono le strutture per nuovi tipi di sport tra cui il calcio, proprio in Vallebona, sopra il rinvenuto teatro romano.

Ferdinando Francesco Giuseppe Ceppatelli, un nome che rievoca i protagonisti del Risorgimento, dall’autore discendente ad un senese come il Prof. Duccio Balestracci, docente di Storia medievale, è filtrato nella lingua esistenziale ed antropologica senese. Un relatore che sa magnetizzare il pubblico, fra scienza, teatro d’autore e pathos, proprio come nello spazio-tempo duro e ridotto in cui si giocano le vicende delle “contrade” per quella che per il relatore stesso, costruisce i significati delle epoche. Ripercorre i capitoli salienti del libro di Moreno Ceppatelli, alla ricerca del “personaggio”, che ad un certo punto ha trasfigurato la vita del bisnonno: già a dodici anni in carcere Tabarre, per un “furto campestre”, ma a sedici è già fantino. Nel 1886 ha il primo figlio, da Anna Trafeli, ma non sono sposati e il bimbo va in orfanotrofio. Mentre nel 1894 nascono due gemelli: Vincenzo e Alfiero, quest’ultimo deceduto l’anno successivo.

Nel 1895 corre davanti ai reali Umberto e Margherita. Il “Tabar”, che veste il tabarro e di professione vetturale, diventa “Tabarre” nella trasformazione linguistica. Ma soprattutto in vittorie e cadute, premi monetari ingenti, dalla “Lupa” alla “Chiocciola”, alla “Tartuca”, assume quella nuova personalità, quello “statuto particolare”, che per i fantini ha il soprannome. Dimostrando di “saper stare a cavallo”, ma anche di cavalcare le grandi difficoltà della vita. Lo segue solo un figlio Vincenzo Ceppatelli detto “Tabarrino”, che non compete a Siena. È il nonno di Moreno, quello che racconta al nipote Roberto Ceppatelli di quella sfida nell’anfiteatro di Volterra con il padre che avrebbe dovuto introdurlo a Siena: ma “Tabarrino rimase al buio, e cadde a terra quasi privo di sensi”. Dopo una nerbata del padre sul volto che gli fece perdere la simbolica sfida. Una vicenda sottesa in famiglia, dai discendenti. Quegli stessi discendenti a cui va la dedica del libro. Forse una storia troppo grande, che Moreno ha voluto riportare, con la stessa temerarietà, fierezza, ribellione e autenticità, del fantino che rivoluzionò con coraggio la sua vita.

Elena Capone

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