Covid e test rapidi, è ora di accelerare: il parere dei clinici

Lo dicono un gruppo di medici che lavora in ospedale e nei servizi di emergenza territoriale, in diverse specialistiche

Siamo un gruppo di medici che lavora in ospedale e nei servizi di emergenza territoriale, in diverse specialistiche. Ognuno di noi, seppur con prospettive diverse, vede con preoccupazione alcune delle modalità con cui viene affrontata la (ampiamente attesa) ripresa autunnale dell’epidemia da Coronavirus SARS-CoV-2.

Abbiamo la sensazione che sia i decisori (a livello nazionale e regionale), sia i loro consulenti tecnici, non siano completamente consapevoli delle difficoltà che alcune procedure ancora oggi adottate determinano nell’attività professionale di chi lavora sul campo.
C’è un aspetto che merita una grande attenzione per l’impatto che potrebbe avere nella gestione della ripresa epidemica: l’utilizzo di test diagnostici “rapidi”. Utilizzarli, consapevoli di quali siano i loro limiti, può comportare alcuni vantaggi decisivi, sia perché consentono screening su un numero decisamente maggiore di soggetti, sia perché permetterebbero in ambito ospedaliero di ridurre i tempi di attesa in isolamento.

I test rapidi già disponibili per l’utilizzo clinico non si basano sulla ricerca del materiale genetico del virus (come i classici tamponi molecolari che tutti conosciamo) ma sulla ricerca di alcuni antigeni virali, cioè di proteine che fanno parte del “guscio” virale che contiene il filamento di acido nucleico.

Per adesso i test antigenici rapidi sono fatti su campioni di muco rinofaringeo, e quindi richiedono l’esecuzione di un prelievo con tampone (identico a quello dei test molecolari che conosciamo da mesi). Sono però in fase di validazione dei test antigenici rapidi su saliva che possono rappresentare una enorme novità, soprattutto per lo screening di bambini o di soggetti che, per motivi professionali, devono sottoporsi frequentemente a test (ad esempio il personale sanitario e gli assistenti agli anziani).

Le caratteristiche positive dei test antigenici sono due:
1. Il tempo di risposta è di qualche decina di minuti (mentre il classico tampone richiede alcune ore)
2. Il test può essere analizzato in sedi periferiche, con strumenti portatili, mentre il tampone classico richiede un processo che può avvenire solo all’interno di laboratori attrezzati.
Ma c’è il rovescio della medaglia. Quando confrontati con il tampone nasofaringeo, i test antigenici hanno una “sensibilità” minore (cioè tendono a non riconoscere come positivi dei soggetti che invece, al tampone tradizionale, risultano ancora avere materiale genetico virale nelle proprie vie aeree). E’ comunque dimostrato che questi soggetti “falsi negativi” ai test rapidi sono soggetti che hanno una bassa quantità di materiale virale, cosa che fa supporre anche una loro bassa capacità di infettare altre persone (1,2,3).Hanno anche una specificità minore (cioè tendono a dare dei falsi positivi, per questo, in caso di positività necessitano di conferma da parte del test molecolare) (Tab1).

Sulla base di queste caratteristiche (velocità e semplicità a prezzo di una minore sensibilità) come possiamo utilizzare i test rapidi?
Innanzitutto come test di screening su grandi numeri, perché se i test tradizionali per la loro complessità non possono essere fatti in numero sufficiente a “inseguire” i numeri della crescita dei contagi, allora rischiamo di diagnosticare con grande accuratezza solo alcuni soggetti positivi, mentre altri che non possono accedere al test sfuggono alla ricerca e possono girare liberi diffondendo l’infezione. In pratica, per voler utilizzare lo strumento migliore si rinuncia alla possibilità di valutare tutti i casi in cui sarebbe indicato il test; in questi casi in Toscana si dice che “il meglio è nemico del bene” (4). Il risultato del mancato utilizzo di questi test lo possiamo apprezzare proprio in questo periodo, quando vediamo che la percentuale di positivi sulle persone testate cresce progressivamente giorno dopo giorno, indicando che stiamo testando relativamente meno contatti e più soggetti sintomatici.

Utilizzare i test rapidi consentirà di intercettare un numero molto maggiore di positivi, perdendone solo alcuni (ma probabilmente poco attivi come diffusori della malattia): ci sembra una strategia decisamente efficace.

Un secondo campo di applicazione dei test rapidi è lo snellimento delle procedure di ricovero ospedaliero per soggetti a basso rischio. Oggi, quando un malato che non ha sintomi suggestivi per COVID si deve ricoverare, deve comunque essere sottoposto a tampone nasofaringeo e, fino all’arrivo del referto, deve stazionare per ore in appositi locali di isolamento (le così dette “bolle”) che riducono i letti disponibili per gli altri ricoveri ed occupano il personale che deve prudenzialmente considerarli “positivi fino a prova contraria”. In questo caso, un test rapido negativo potrebbe essere sufficiente per eliminare questo periodo di isolamento e liberare spazi e personale per le altre attività.

1. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32845525/
2. https://www.sciencedirect.com/…/artic…/pii/S1201971220304057
3. https://www.nature.com/articles/d41586-020-02661-2
4. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2025631
5. https://www.who.int/…/antigen-detection-in-the-diagnosis-of…
6. https://www.inmi.it/…/2…/10/coronavirus_comunicato_30_09.pdf

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