
PAROLE – 3a puntata
Nel nostro viaggio nell’abuso, consapevole e non, della nostra lingua italiana, vi è poi una tappa obbligata negli usi errati di parole che possono generare pericolose incomprensioni, come accade per alcuni verbi il cui significato è stato modificato proprio a causa del loro improprio uso collettivo. Un classico riguarda il verbo “implementare”, ormai divenuto sinonimo di “incrementare”, e che invece significa “rendere operante, attivare, realizzare” un progetto o un’idea. Se quindi in un contesto una persona usa il verbo implementare riferendosi a un’idea da sviluppare, ognuno si aspetterà qualcosa di diverso: alcuni penseranno che il progetto sia fermo al punto di partenza, altri che è terminato e deve essere ulteriormente arricchito. Lo stesso dicasi per l’aggettivo “ridondante”, sovente utilizzato quale sinonimo di “ripetitivo” mentre il suo vero significato è “eccessivamente pieno, sovrabbondante”. Una personale battaglia che conduco, ahimè, con scarsi risultati, è quella sull’uso sbagliato del “piuttosto che” e del “quant’altro” Il primo viene usato spesso al posto della “e” e già non sarebbe corretto utilizzarlo con valore disgiuntivo, con il significato di “oppure, o” perché non solo contrappone ma esprime anche la preferenza nei confronti di un elemento rispetto a un altro. Il secondo invece viene (ab)usato come finale di frase, anche, e soprattutto, quando “altro” non c’è. Provate una volta a chiedere: “Quant’altro cosa?”
Vi guarderanno stupiti e diranno… “Niente…perché?”
Prossima puntata il 22 febbraio
