Fu l’ultima volta che vidi il Pupo. Nel suo laboratorio in via lungo le Mura ebbi con lui una lunga e bella chiacchierata sull’alabastro, sulla sua storia.
E alla fine avemmo anche un’ospite. Oggi che nell’ambito della festa di San Luca degli alabastrai è stata inaugurata una mostra per ricordarlo, io voglio ricordare il Pupo con questo articolo che ripropongo volentieri proporre ai lettori di Radio Robinson
P. G.
E’ appena terminata “San Luca, festa degli alabastrai”. San Luca, ci dice l’almanacco, è il protettore di artisti, chirurghi, medici, notai, pittori, scultori per questo rientrerebbe a pieno titolo nella categoria di protettore degli alabastrai in quanto artisti e scultori. Quanto poi ci sia di vero su questa ricorrenza, con precisione non lo sanno neppure gli alabastrai, o quello che resta di questa categoria di artigiani. Considerando anche che gli alabastrai volterrani, sicuramente artisti e scultori, più che devoti a qualche santo fossero devoti all’anarchia.
Di sicuro le origini di questa festa, con precisione, non le conosce il decano degli alabastrai, ovvero: Aulo Grandoli, “Il Pupo”, per il volterrani, 86 anni compiuti da pochi giorni. Eppure nonostante l’età “Il Pupo” è sempre “al pezzo”, ovvero è sempre li che scolpisce la sua pietra ricavandone forme perfette, creazioni impeccabili. “Sulla festa degli alabastrai – attacca Aulo – penso che le origini risalgono alla fine dell’Ottocento, quando qualche ditta, in occasione della festa di San Luca, abbia portato i dipendenti a far merenda ai Leccetti. Non penso che l’alabastraio in se abbia avuto riguardo verso un Santo, considerato il fatto che notoriamente l’alabastraio è sempre stato uno spirito libero, direi molto anarchico e poco incline alla religiosità. Gli alabastrai sono sempre state persone a cui piaceva fare le merende, andare a pesca a far funghi. Ma d’altronde quando avevi lavorato e venduto il tuo lavoro, avevi incassato i soldi per campare, cosa c’era di meglio di chiudere bottega e andare a far merenda”.
“Il Pupo” ci accoglie nella sua bottega che altro non è che una stanza della sua casa, lungo le mura a due passi dalla Porta all’Arco. Mentre arriviamo è intento a scolpire con un piccolo scalpello ad aria compressa una figura di animali, due elefanti. Nella sua nuova “bottega” non c’è più quella polvere bianca, pesante, che imbiancava i volti degli artigiani, ora è tutto molto “asettico”: “Non pensavo che questo lavoro si trasformasse così – dice ancora “Il Pupo” – tutto molto pulito, ma soprattutto non si fatica più come una volta. Ora è un divertimento”.
– Recentemente lei è stato definito l’alabastraio con la A maiuscola…
“Sarà per la mia età! Forse perché sono borghigiano e alabastraio… Non so cosa dire. Certo è che ormai di alabastrai siamo rimasti veramente in pochi. Soprattutto non ci sono giovani. C’è il serio rischio che questo lavoro si estingua. Tutto è cominciato quando qualcuno ha pensato di essere un imprenditore dell’alabastro e il lavoro è stato demandato alle macchine. In quel momento non si è più venduto una tradizione, una manualità, un artigianato artistico, Volterra ha iniziato a vendere fumo, paccottiglia”.
– Lei ha una ricetta per rilanciare la lavorazione artistica dell’alabastro?
“Ricominciamo ad insegnare la vera lavorazione di questa pietra ai giovani, l’essenza di questo lavoro, ovvero la manualità. Magari all’inizio lavorare l’alabastro sarà un passatempo, magari qualcuno più bravo e appassionato lo farà diventare un lavoro vero e proprio. Ma intanto ricominciamo a lavorare l’alabastro. Offrire sgravi per gli affitti dei fondi come è stato fatto serve a poco, se poi alle spalle non c’è una “scuola” che ti insegna a lavorare.
Un’altra idea potrebbe essere quella di avvicinare i turisti alla conoscenza del lavoro dell’alabastro. Facendogli toccare con mano che cosa significa lavorare, creare con questa pietra. La maggior parte di quelli che nell’estate passano qui di bottega non si rendono conto neppure di quello che sto facendo e alla fine l’unica cosa che mi chiedono la strada per la Porta all’Arco”.
– Il giovane artista Lopez Bruchi gli ha dedicato un enorme murales proprio in Borgo San Giusto, il suo “borgo”. La sua immagine occupa una intera parete di una delle “case popolari” di Piazzale 25 aprile. E’ contento di questo omaggio?
“Sono molto orgoglioso e onorato di quello che ha eseguito Bruchi. Mi piace molto il lavoro che ha fatto, è un ragazzo molto bravo e lo ringrazio per questo”.
Mentre “Il Pupo” ci racconta queste cose ecco entrare in bottega un bambino appena uscito da scuola, avrà sei, sette anni al massimo. “Il Pupo” e il bimbo si conoscono bene, sono amici, gli occhi di Andrea (nome di fantasia del giovanissimo ammiratore n.d.r.) guardano ammirati gli scaffali del laboratorio del “Pupo”. Su quei ripiani c’è ogni tipo di lavorazione: teste di cavalli, gruppi di animali, uccelli in volo. Tutti i giorni Andrea passa di bottega e guarda ammirato quei lavori, come guarda, con gli occhi sgranati, “Il Pupo” che lavora. Cosa vorresti fare da grande Andrea? Lui si gira, mi guardato poi guarda nuovamente gli scaffali e la risposta arriva, quasi scontata, con un filo di voce, quasi a non voler disturbare il suo amico che sta lavorando… l’alabastraio!
P.G.