FESTIVAL INTERNAZIONALE TEATRO ROMANO VOLTERRA XX EDIZIONE FEDRA Da Seneca 15 luglio 2022 Teatro Romano ore 21:30

Prosegue il Festival Internazionale Teatro Romano Volterra con Fedra, in scena domani 15 luglio 2022 sul palcoscenico del Teatro Romano alle ore 21:30 con la produzione di Teatro delle Città, traduzione Maurizio Bettini, regia di Manuel Giliberti, musiche Antonio Di Pofi, e con Viola Graziosi, Graziano Piazza, Deborah Lentini, Riccardo Livermore, Liborio Natali. “Quando Fedra – spiega la produzione – osa dichiarare il suo amore per Ippolito,  figlio di suo marito Teseo, non può che generare orrore. Ecco infatti le parole della nutrice nell’Ippolito di Euripide: ‘Ohimé, che dici figlia! Tu mi uccidi. O donne, non vivrò per sopportare ciò che non è sopportabile. O giorno odioso, o luce odiosa che io vedo. Precipiterò, scaglierò giù il mio corpo, con la morte mi libererò della vita’.

Ed ecco quelle di Enone nella Phèdre di Racine: ‘Oh cielo, nelle vene il mio sangue si raggela! Disperazione! Infamia! Deplorevole razza!’. L’amore di Fedra provoca orrore: l’orrore dell’incesto. Ma cosa sta facendo, Fedra, di così grave?

La nutrice apre poi davanti a noi uno spiraglio inatteso su un antico sistema di credenze ‘biologiche’ secondo il quale una donna può concepire non da un solo uomo, ma, contemporaneamente, anche da due: e in questo modo ci svela finalmente il mistero della colpa di Fedra. La ‘confusione’ che, secondo l’anziana, si verrebbe a creare nel grembo di Fedra sarebbe ovviamente quella fra il seme del padre e quello del figlio, Teseo e Ippolito, di cui Fedra si appresta a ‘mescolare’ i letti. Che prole potrebbe mai sorgere, se non mostruosa, da una mescolanza fra il seme di un padre e quello di un figlio? Quasi che non una matrigna e un figliastro, ma direttamente un padre e un figlio – complice un ‘grembo’ femminile – si fossero uniti in un incesto inaudito. Con queste poche parole della nutrice, il testo della Fedra raggiunge dunque il massimo della tensione drammatica e, insieme, quello della mostruosità biologica, se così possiamo chiamarla. È come se dall’interno del ‘grembo’ di Fedra, osservato con tanta spietatezza, si sviluppasse una spaventosa forza di orrore, una tenebra ancor più fosca e maligna di quella che ha accecato Teseo durante il suo lungo esilio nei regni dell’Ade. Del resto questo è il teatro di Seneca: empietà, orrore, nefas, per lui la natura e l’umana società esistono solo quando sono sconvolte. Fortunatamente all’altro polo di questa torbida vicenda stanno i regni di Artemide, la dea delle solitudini, quella natura pura e selvaggia in cui Ippolito, il cacciatore casto, esercita l’arte di cui è maestro. Sono visioni di acqua cristallina, di prati verdeggianti, di boschi incontaminati, di uccelli canori. Nelle tragedie senecane la purezza, quando c’è, è lì solo per essere insozzata. E con altro orrore, e soprattutto emozione grandissima, alla fine della tragedia lo spettatore vivrà la scena del mostro – stavolta una ‘vera’ creatura mostruosa – che sparge di viscere e sangue umano anche la più deserta delle solitudini”.

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